3 Ottobre 1993: la "partita fantasma" e la consapevolezza di essere ancora vivi

Angelo Massimino portato in trionfo dai tifosi rossazzurri (Foto: gentile concessione di Leonardo Tornabene)

Angelo Massimino portato in trionfo dai tifosi rossazzurri (Foto: gentile concessione di Leonardo Tornabene) 

Ventotto anni fa il Catania attendeva il Giarre, ma giocò con la Libertas Palestro. Il mito della 'partita fantasma'

❤️Da solo, ma con idee chiare💙
Fra la gente c'è un uomo venuto dal popolo. È in giacca e cravatta, di mezza età, con occhiali con vistosa montatura scura ed il volto segnato dalla sofferenza di una malattia sempre più invadente. Lo sguardo, però, è quello del guerriero pronto alla battaglia. Un condottiero fiero, con il rossazzurro nel cuore e nel cervello. Un solo obiettivo: riportare il Catania nella categoria dalla quale è stato scacciato con fin troppa leggerezza. La sofferenza, anche solo per un attimo, lascia spazio a una scarica di adrenalina generata da un abbraccio della curva, di uno stadio intero: “Talìa chi c’è ccà, m’abbianu na l’aria! Non sono solo, la mia gente è con me. Sarà tutto più facile adesso! Sarà più facile riportare il Catania in C1. Basterà vendere qualche palazzo appena costruito per migliorare la squadra, un po’ di carta bollata e il loro abbraccio!”

Chissà se pensava queste cose in quel momento, Angelo Massimino. Chissà, cosa passava per la testa di un sessantaseienne, forgiato da una esistenza terrena incredibile, ignaro di quel finale di vita che il destino gli aveva preservato. Chissà cosa pensava, in quella domenica 3 Ottobre 1993, in quello stadio che dopo qualche anno avrebbe portato il suo nome. Chissà cosa. Magari, pensava che alla fine il Giarre dicesse di no alla FIGC, rinunciando alla trasferta di Avellino per giocare il derby etneo. Chissà… Sono tanti i pensieri che passano nella mente di un uomo in un momento come quello. Magari, anche solo per un istante, si sarà abbandonato all’idea che aveva fatto breccia nei cuori dei tifosi rossazzurri, iscrivendo nei loro cuori il suo nome. Per l’eternità.

I chissà rimangono quesiti senza risposta. Le certezze sono quelle di un uomo che contro tutto e tutti decise di intraprendere una battaglia e di condurla in porto, senza alcuna esitazione. Era da solo, il Cavaliere. Da solo con i suoi ideali, portafoglio e contraddizioni. Da solo, non in ventitré, ventiquattro o giù di lì… Da solo, con forze proprie e soprattutto idee chiare sul da farsi.

Voleva giocare, fosse stato per lui anche lo stesso 31 luglio. Quel giorno di 28 anni fa, domenica come lo è oggi, il Cavaliere, così come i 10.000 tifosi rossazzurri presenti al “Cibali” voleva veder giocare il Calcio Catania, ignaro che da lì a poco il valore del 46 sarebbe diventato tratto distintivo di club e tifosi di quel club. Distintivo di una storia che merita ben altri capitoli, ben altro finale.

Ventotto anni fa il Giarre scelse Avellino. Il Catania affrontò la Libertas Palestro in quel che divenne nell’immaginario collettivo la partita fantasma, antipasto di un’Eccellenza ormai cosa fatta. I rossazzurri vinsero per 4 a 0, ma la vittoria più grande fu la consapevolezza che la "battaglia al Palazzo" intrapresa dal Cavaliere sarebbe andata avanti, con fermezza e caparbietà. Il Catania era ancora vivo e nuovamente fra le braccia dalla sua gente. Tra la polvere e l'incognito. Senza certezze. Senza se, senza ma. Insieme. Nel momento del bisogno. Uniti. Squadra e tifosi.