EpiStolando – Ode al calcio declinato in calci

Mister Infantino

Mister Infantino 

Temi rossazzurri raccontati ad un lontano interlocutore.

Caro Tino,

ci risentiamo prima del previsto, ma presumo che lo voci – rectius, le urla – generate dalla partita di San Cataldo di domenica scorsa siano giunte anche sino al luogo in cui ti trovi. E sono certo che ne avrai interpretato il tenore: quella tra Sancataldese e Catania, più che una gara di calcio, è stata una battaglia, con un ridottissimo tempo effettivo di gioco, un campionario completo di faide, provocazioni e perdite di tempo, che ha irritato oltre modo i sostenitori della squadra dell’Elefante. La maggior parte di questi ultimi ha reagito con vero e proprio sdegno di fronte all’atteggiamento dei padroni di casa, mister Infantino in testa, accusati di rappresentare il cosiddetto ‘anticalcio’ e di aver improntato il confronto osservando una condotta perlopiù antisportiva.

Non mi va di entrare nel merito della sfida, che è stata già esaurientemente analizzata un po’ da tutti gli addetti ai lavori, che hanno sviscerato i meriti e i demeriti di entrambe le squadre. Preferisco fare delle riflessioni di carattere generale sul gioco del calcio e su tipologie di match in cui, come nel caso di domenica scorsa, si scontrano la classica fuoriserie e la matricola di turno. Il calcio, innanzitutto, è uno sport difficile da inquadrare in una definizione univoca che metta tutti d’accordo: è un gioco, che a molti piace considerare come un divertimento e che nell’era moderna si sta imponendo sempre più come ‘entertainment’. Ciò spinge la massa a cedere alle sirene dello spettacolo, del bel gioco, con diversi ordini di conseguenze: il pubblico è sempre più fagocitato dall’élite del pallone, sempre più indotto a seguire esclusivamente match tra grandi squadre e con grandi campioni, a tifare tali club a scapito di quelli locali, che militano in campionati inferiori o non possono offrire lo stesso ‘prodotto’, con gli stadi che ad ogni latitudine, in Italia, si vanno sempre più svuotando, a beneficio dei divani. Si sta perdendo quel sentimento che per decenni, sino all’avvento delle pay tv, animava la partecipazione popolare e collettiva alle sorti delle squadre delle proprie città. Per i tifosi dei club di caratura inferiore, il calcio rappresentava quello strumento attraverso cui poter sognare – e talvolta realizzare sul campo – una rivincita contro realtà socialmente ed economicamente più sviluppate, oppure, semplicemente, contro chi avesse una tradizione sportiva più gloriosa. Per coloro i quali, nelle piccole e medie piazze, tengono botta rimanendo visceralmente attaccati alle squadre del territorio, è ancora così. Vincere o pareggiare contro una compagine blasonata equivale a collezionare un trofeo che verrà ricordato a distanza di anni, con la relativa ricorrenza puntualmente festeggiata anche a distanza di tempo. Il Catania e i suoi tifosi, che anno dopo anno continuano a celebrare il ‘Clamoroso al Cibali’ piuttosto che il successo all’Olimpico di Torino o la vittoria sull’Inter del Triplete, ne dovrebbero sapere qualcosa.

Eppure, domenica scorsa, lo si è un po’ dimenticato. Per certi versi ci sta, perché il tifoso del Catania, oggi, sa di poter contare su una macchina da guerra in grado di distruggere qualunque avversario e suscita parecchia allergia il fatto di non riuscire a farlo su determinati campi, contro squadre dalla cifra tecnica assai modesta. Dà ancor più fastidio vedere la propria sete di dominio, alimentata da anni di vacche magre, scontrarsi contro tutti gli espedienti ai quali sono ricorsi i verdeamaranto. Il passato sportivo del loro allenatore, poi, non ha contribuito a tenere a bada gli animi di fronte alle performance a bordo campo dello stesso Infantino. E però, mentre io assistevo a tali scene, mi mettevo nei panni della squadra di casa e mi chiedevo: ‘a parti invertite, con il Catania di fronte ad una corazzata come ad esempio la Juventus, non avrei forse preteso lo stesso atteggiamento?’ E la risposta che mi sono dato è stata un sonoro ‘sì!’, certo che lo avrei preteso, certo che, pur di uscire indenne contro determinate avversarie, da tifoso, avrei giustificato ed anche incoraggiato la qualunque. Perché in fondo spesso ci si dimentica che il calcio, al di là delle declinazioni personali, è più di ogni altra cosa, in senso oggettivo, una competizione, nella quale il raggiungimento di traguardi come la promozione o la salvezza passa dai risultati, indipendentemente dal modo in cui questi vengano ottenuti. Al riguardo, ricordo che il Pitu Barrientos, nel finale di un Lazio-Catania del 2013, che rappresentava una sorta di spareggio per l’Europa League, anziché restituire palla agli avversari, provò a sorprendere Marchetti con un tiro dalla distanza per cercare un preziosissimo pareggio. Che sarebbe stato il pareggio più antisportivo del mondo, ma sarebbe valso a tenere aperta la speranza continentale e da tifoso di certo non l’avrei disprezzato. E domenica scorsa dubito che a Sancataldese-Catania, match di Serie D, assistessero anche generici appassionati di calcio e di spettacolo, oltre ai semplici tifosi.

Per tali ragioni, al netto delle fisiologiche allergie di cui ho parlato, dissento da chi ha storto parecchio il naso ed anzi ho ammirato lo spirito della Sancataldese, del suo allenatore e del suo pubblico. Un pubblico ruspante, appassionato, presente, acqua nel deserto in un calcio sempre più asfittico in contesti del genere, come dimostrato dal recente caso dell’Audace Cerignola, matricola rivelazione del girone C di Serie C, che però non riesce ad attirare più di poche centinaia di paganti nel proprio impianto, suscitando la delusione del patron Grieco. Una realtà, quella della Sancataldese, che non merita di essere ridotta all’epiteto usato da molti – ‘pecorai’ – perché altrimenti bisognerebbe essere coerenti e non lamentarsi dei cori razzisti di tifoserie che inneggiano all’attivismo vulcanico. Questo è quanto, caro Tino, sono certo che (almeno tu) apprezzerai. Ti abbraccio e ti prometto che ci aggiorneremo presto.

Enrico