Verso il nuovo Catania: veti sul passato, ombre sul futuro

Un appello rimasto inascoltato...

Un appello rimasto inascoltato... 

Riflessioni sui temi generati dal recente passato e in vista del prossimo futuro del calcio cittadino.

La città di Catania è rimasta senza calcio da due settimane, ma di carne al fuoco nel dibattito pubblico non ne è mancata. Molta attenzione è stata rivolta agli strascichi legati ai provvedimenti di cessazione dell’esercizio provvisorio (da parte del Tribunale di Catania) e di conseguente esclusione dal campionato (da parte della Figc), nonché all’invocata e sacrosanta necessità che la magistratura faccia luce sulle cause che hanno portato al fallimento del Catania e sui relativi responsabili. Un polverone si è alzato attorno a Torre del Grifo ed alle attività ivi tuttora svolte, oggetto di richieste di chiarimenti da parte di molti tifosi. Nel frattempo, si è cominciato a ragionare nell’ottica di una ripartenza del calcio cittadino, col Comune che ha fatto le prime mosse avviando la procedura volta ad ottenere dalla Figc l’iscrizione in Serie D di una nuova squadra che rappresenti la città, da affidare ad una nuova società che sarà individuata attraverso un bando gestito dallo stesso ente. Ed in attesa che tale iter acceleri e che si facciano avanti i primi soggetti interessati, varie formazioni spontanee di tifosi e professionisti si stanno muovendo per dare un contributo al Catania che verrà, provando ad attirare l’attenzione di media o imprenditori di rilievo o costituendo appositi movimenti di azionariato popolare col proposito di affiancare e supportare l’eventuale nuova proprietà. Ma le principali attenzioni ed attese sono inevitabilmente rivolte al bando per il “nuovo Catania” ed alle possibilità di una rinascita del calcio locale.

I veti sul passato: palla in mano al Comune
In modo pressoché unanime si è da più parti affermato che sarebbe opportuno che non si ricominci da chi ha trascinato il Catania nel dramma del fallimento e della conseguente ripartenza dai dilettanti. Nell’ordine, dunque: l’ex patron Pulvirenti, sotto la cui gestione si è passati in poco tempo dalla Serie A (2014) alla Serie C (2015), con un’istanza di fallimento presentata dalla Procura di Catania nel 2020; la Sigi, che proprio nell’estate 2020 scongiurò il fallimento, per poi provocarlo dopo appena un anno e mezzo (come certificato dalla sentenza di fallimento) con una grottesca conduzione del club. Nella “lista di proscrizione” - riteniamo - sarebbe opportuno aggiungere anche Benedetto Mancini (che peraltro si è più volte accompagnato ad alcuni soci Sigi) per la sua palesata inaffidabilità, che ha dato luogo negli ultimi mesi ad una pantomima che ha offeso il sentimento dei tifosi dinanzi agli ultimi istanti di vita della società che avevano tanto amato e che avrebbe meritato di “spirare” anche fuori dal campo con la stessa dignità portata sul terreno di gioco dai Gari-Baldini.
In effetti, sarebbe oltremodo beffardo che chi ha provocato il danno (e che danno!) avesse il coraggio di ripresentarsi e riuscisse persino a spuntarla. Ad ogni modo, si tratta solo di considerazioni preventive e potrebbe trattarsi di un falso problema, atteso che non vi è alcuna notizia o certezza in merito alla partecipazione al bando di tali soggetti. Né si può pretendere che il Comune possa introdurre dei divieti “nominativi”, che sarebbero illegittimi. Trattandosi di procedura volta ad una successiva assegnazione del titolo sportivo da parte della Federazione, di sicuro l’ente locale potrebbe ben riprodurre, quale “sbarramento all’accesso”, le medesime preclusioni previste dalla Figc (art. 20 bis Noif) in materia di acquisizioni di partecipazioni societarie in ambito professionistico (Gli acquirenti non devono:
- essere stati soci o aver ricoperto, nella stagione in corso alla data della acquisizione e nelle cinque precedenti, la carica di amministratore e/o di dirigente, in società professionistiche destinatarie di provvedimenti di fallimento, di decadenza e/o revoca della affiliazione, di non ammissione al campionato di competenza, di esclusione dal campionato di competenza, assunti entro l’anno dalla perdita della qualità di socio o della carica di amministratore e/o dirigente;
- aver effettuato acquisizioni e poi cessioni di cui al comma 1, nel corso della medesima stagione sportiva o nel corso di due stagioni sportive consecutive, nel periodo compreso tra la stagione sportiva in cui è intervenuta l’acquisizione e le cinque precedenti.
)
In tal caso rimarrebbero fuori dai giochi Pulvirenti e chi, tra i soci Sigi, ha ricoperto cariche amministrative (Le Mura, Santagati), ma non si potrebbe impedire la partecipazione ad altri, oppure a dei prestanome, oppure allo stesso Mancini, le cui “gesta” non rientrano nelle superiori ipotesi (essendo già trascorsi cinque anni dal fallimento del Latina). La garanzia, in quel caso, dovrebbe assumerla il Comune che, esercitando la propria discrezionalità amministrativa, dovrebbe opportunamente preferire altri candidati a svantaggio di questi.
C’è ad ogni modo da augurarsi che la recente lezione inflitta dal flop Mancini sia servita anche a quella parte di città (sindaco sospeso incluso) che aveva in qualche modo dato credito al romano, nonostante un curriculum sportivo poco edificante ed un curriculum economico non trasparente. Morale della favola: occorrerà una generale opera di pretesa – nei confronti del nuovo corso – di trasparenza e di affidabilità, anche al costo di boicottare un eventuale nuova proprietà (e con essa la squadra) qualora tali requisiti minimi non venissero garantiti.

Il precedente del mancato salvataggio del titolo sportivo non lascia ben sperare
La ripartenza calcistica cittadina non sarà una ripartenza qualsiasi, come lo è stata da altre parti (come Bari e Palermo). E non soltanto per ciò che la continuità storica legata alla matricola 11700 rappresentava per la piazza. Quel che differenzia davvero il processo di rifondazione etneo da quello avvenuto in altre piazze è il percorso che ha portato sin qui e che giungerà sino all’emanazione del bando per la Serie D. A Catania vi è stata la possibilità, altrove non concessa o concedibile, di salvare il titolo sportivo di Serie C. Sono state bandite due aste ed è stato formulato un ulteriore invito ad offrire. Tre procedure di vendita distinte alle quali non si è presentato NESSUNO. Né a livello locale, né nazionale, né internazionale.
Prima di trarre le dovute conclusioni occorre aprire una parentesi. L’ambiente catanese ha scoperto sulla propria pelle quanto nel calcio contemporaneo sia essenziale, per la stessa sopravvivenza a lungo termine di qualsiasi società, militare almeno in Serie B. Ciò, perlomeno, per piazze ambiziose e dotate di una tradizione sportiva di un certo tipo come quella rossazzurra. Vivacchiare in terza serie è un lusso che possono concedersi club di caratura inferiore, che puntano sul vivaio ed hanno come obiettivo frequente quello della salvezza. Si pensi ad esempi come quelli della Paganese, o della Vibonese, che comunque, per andare avanti, hanno bisogno del supporto economico della proprietà e di una determinata organizzazione societaria.
Una squadra che milita già in terza serie, per poter puntare alla promozione in Serie B, necessita di investimenti, nella più rosea delle previsioni, non inferiori a cinque milioni di euro per la costruzione di un organico competitivo. Se fosse esistito un imprenditore o un gruppo interessato al Catania e dotato di un certo peso economico, avrebbe dovuto investire 3,5 milioni (circa 3 milioni di debiti sportivi, oltre a 500.000 euro di base d’asta) per rilevare una squadra già in C e con una base tecnica minima da cui ripartire e sulla quale investire qualche milione in più per poter lottare immediatamente per la cadetteria. Ci auguriamo di cuore di essere smentiti dai fatti, ma l’impressione è che se NESSUNO si è fatto avanti per rilevare il Catania in C, evidentemente non esiste nessuno che abbia risorse tali da poter coltivare programmi ambiziosi come quelli già esposti.

La - rischiosa - necessità di una piena trasparenza
Premettendo che non è corretto pretendere alcunché né obbligare qualcuno ad investire, sarà comunque opportuno pretendere trasparenza e sincerità da chi si farà avanti al bando per la D. Se venisse sventolato un piano ambizioso con investimenti pluriennali da almeno 10 milioni di euro e l’obiettivo del doppio salto di categoria, allora si dovrebbe chiedere conto e ragione del perché non si è intervenuti prima, pur nella consapevolezza che si tratta di una prassi ormai consolidata nel calcio, per quanto dura da digerire per i tifosi e, nel concreto, spesso controproducente per gli stessi imprenditori che la coltivano. Si pensi al Bari di De Laurentiis, ad esempio: avrebbe speso molti meno soldi, rispetto a quelli investiti per riportare i biancorossi in B, acquistando direttamente la società quando questa era in cadetteria, ereditandone i relativi debiti. Ma debiti e grane con la giustizia non ne vuole, giustamente, avere nessuno, ed è lecito. E’ altrettanto lecito, però, chiedere a chi intende ripartire dal Catania e col Catania di essere intellettualmente onesto coi tifosi e spiegare i motivi delle proprie scelte e delle relative tempistiche (è difficile credere che chi proverà ad accaparrarsi il nuovo Catania non avesse valutato l’investimento già negli scorsi mesi).
Resta ad ogni modo la consapevolezza che un’estrema sincerità potrebbe rappresentare un’arma a doppio taglio. Perché se è vero ciò che sospettiamo – e cioè che attorno al Catania di investitori competitivi non ce ne siano – è altrettanto vero che una verità del genere, se ammessa dai diretti interessati, costituirebbe un pessimo biglietto da visita agli occhi di una piazza che in buona parte, dopo tanti anni di risultati deludenti e dopo lo choc della perdita dell’affiliazione, auspica e per certi versi pretende un rilancio come si deve. E allora forse è meglio cominciare a ragionarci su, tutti quanti, per poi fare una scelta di campo: meglio pretendere dai nuovi proprietari trasparenza, anche a costo di accettare e supportare un programma che non lasci intravedere nulla più di un ritorno in C, o legare tutto a risultati ed ambizioni, col rischio (si spera di no) di rimanere scottati ancora una volta?