Tutto iniziò con una "valigetta"

Catania 1969-70

Catania 1969-70 

La prima parte del racconto di Alessandro Russo: dai primi contatti con Marcoccio ai primi anni ’80…

Storia di una scalata tra mille difficoltà
La storia del Calcio Catania 1946 è strettamente correlata a quella del Cavaliere Angelo Massimino. Una figura assai discussa che, nel corso dei quasi cinque lustri di presidenza, si è identificata con la pelle dell’Elefante. Invocato e contestato, amato e disprezzato, i sentimenti della città nei confronti di Massimino erano come la sua stessa indole: non conoscevano mezze misure. Dopo la tragica scomparsa del 4 marzo 1996 quei sentimenti, fino a quel momento contrastanti, sfociarono verso un'unica direzione, trasformandosi talvolta (soprattutto nei momenti difficili) in un'invocazione miracolosa dal sapore di rimpianto. Non c'è da stupirsi, perché A Sant'Aita prima s'arrubbanu e poi ci ficiru i canceddi 'i ferro'... a Catania, è risaputo. Dalle parole del nipote Alessandro Russo riviviamo l’ascesa al ‘trono’ rossazzurro del Presidentissimo: dai primi contatti con Ignazio Marcoccio alla fondazione della Massiminiana, dalla promozione di Reggio Calabria alle basi per il bis del 1983.

Dalla ‘valigetta’ del 1958 allo svenimento di Reggio del 1970
“Angelo Massimino divenne presidente del Catania nel 1969, nello stesso anno nel quale l’uomo conquistò la Luna, ma già nel 1955 la sua figura era presente all’interno della società rossazzurra, seppur in una forma defilata. Tre anni più tardi, nel 1958, Angelo e il fratello Turi consegnarono una valigetta piena di milioni a Salvatore Maugeri, cassiere della società etnea, il quale si rivolse ai giocatori dell’epoca così: ‘Carusi, ccà ci sù i vicepresidenti e i piccioli’. Successivamente, dopo aver tentato invano di acquisire la presidenza, fondano la Massiminiana. Nella panchina di Reggio Calabria, il 14 giugno 1970, appena Massimino si rende conto che sta conquistando la Serie A al primo tentativo, perde i sensi dalla felicità e sviene cadendo a terra. Un minuto dopo si rialza e corre ad abbracciare i tifosi rossazzurri. In quello svenimento si chiude il cerchio aperto nel 1955: dal tentativo di entrare nel Catania alla sua testardaggine nel ripetere questa impresa”.

Marcoccio, il peso dell’eredità
“Massimino amava farsi acclamare, viveva per l’applauso della folla. Ma nonostante il grande salto, i tempi non erano ancora maturi… L’aver conquistato subito la Serie A si rivelò paradossalmente un boomerang che si ritorse contro di lui. L’esser subentrato ad un grande personaggio come Ignazio Marcoccio rappresentò un handicap considerevole. L’ex presidente, infatti, aveva delle spiccate doti diplomatiche, quasi ‘magiche’, sconosciute a Massimino, con le quali riusciva a convincere i propri interlocutori. Fu in grado di portare in rossazzurro calciatori blasonati (vedi Cinesinho) e di vincere contro squadre importanti come l’Inter, la Juventus o il Milan. Tra l’altro, oltre ad essere presidente del Catania, fu anche sindaco della città (dal 21 gennaio 1972 al 3 agosto 1975) ed assessore dello sport. Una figura vincente, appoggiata da politica e stampa ed amata dalla città che, proprio per questo, lo rivoleva alla guida del Catania”.

Marcocciani vs Massiminiani
“Dopo l’orgasmo del 1970 iniziò una fase assai tormentata, nella quale Massimino soffrì il confronto con quella figura assai ingombrante. Non riuscì ad emulare il predecessore, né nei risultati né nei rapporti diplomatici, e la stampa non esitò a punzecchiarlo e ad appoggiare Marcoccio. La stagione 1970-71, in Serie A, disilluse le attese della piazza. Massimino credeva di esser un punto di riferimento, ma così non era. Dopo appena una stagione perse la massima serie e continuò a rimetterci di tasca. Proprio in quell’annata ebbe inizio la rivalità con Marcoccio, tra l’altro nominato presidente onorario del club proprio dallo stesso Massimino. Angelo e Ignazio erano dispettosi l’un l’altro, tanto diversi nel loro essere prime donne: una vicenda molto provinciale nella quale emerse il lato peggiore del carattere di mio nonno. La squadra del 1971-72 era tecnicamente abbastanza forte: Massimino puntò su una serie di marcocciani, come Todo Calvanese e Carmelo Di Bella. Si creò una situazione paradossale, nella quale sia i giocatori che la stampa riconoscevano i meriti a Marcoccio. Massimino, divorato dalla sofferenza, sbottò: ‘Ed io chi sono, solo quello che esce i soldi?’. Reazioni fuori controllo si susseguirono nel corso di quella stagione, con continui battibecchi con i giornalisti. Emblematico, in tal senso, fu il caso del pubblicista Rino D’Alessandro, il quale pretendeva di presenziare ad una riunione tra Massimino e i calciatori in cui si discuteva il nodo cruciale dei reingaggi: mio nonno lo mandò va in un modo così plateale da indurre l’USSI ad intervenire il giorno seguente. Episodi come questo non fecero che minare la nomea del presidente che divenne tutt’altro che positiva: burbero, ignorante, megalomane erano gli appellativi più utilizzati dalla stampa. Le continue frizioni all’interno della squadra, tra marcocciani e massiminiani, sfociarono in un ottavo posto in Serie B che aumentò ulteriormente le critiche verso il Cavaliere, anche se bisogna ricordare che in quella stagione il Catania giocò buona parte delle partite casalinghe in campo neutro per via di continue squalifiche del campo. Impossibile ottenere di più in quelle condizioni”.

1973-74: Romano Fogli intervistato da un giornalista accanto al Cavaliere 



1972-74: Reggio appartiene al passato…
“Il culmine della rivalità tra Angelo e Ignazio si verificò nel 1972-73 e nella stagione successiva, con continue ripicche, ruffianerie e veleni che resero l’atmosfera insostenibile. Due anni e mezzo dopo il trionfo di Reggio, Massimino, pur rimanendo tra gli azionisti, fu ‘costretto’ a cedere la poltrona di presidente a Salvatore Coco, quest’ultimo legato a Marcoccio. Nella stagione 1973-74 la situazione continuò a peggiorare: una serie di equivoci societari e una gestione contorta fecero precipitare la squadra nei bassifondi della Serie B. In quell’anno, a Catania, regnava la violenza; addirittura vennero sparati alcuni colpi di pistola anche allo stadio. Massimino, nonostante tutto, era pronto a ritornare al capezzale del Catania, con Mazzetti in panchina, ma Coco-Marcoccio rifiutarono e finirono in C. Dopo averlo contestato, anche aspramente, la città invocò il ritorno di Angelo Massimino…”

1974-75: il ritorno del Cavaliere, il Diavolo e l’Acqua Santa
“Nell’estate 1974 Massimino ritornò alla guida del Catania con idee abbastanza chiare: acquistò giocatori importanti, come Claudio Ciceri, e decise di puntare in panchina su Gennaro Rambone. Il tecnico napoletano sembrava un personaggio uscito dalla letteratura: era un ruffiano pazzesco, sapeva far teatro ma dal punto di vista tecnico non era lucido per gestire lo spogliatoio. Ricordo in particolare un episodio relativo al ritiro pre-campionato, nel quale impose a Spagnolo (che non era un suo fedelissimo) di non mangiare delle noci di cocco. Spagnolo, considerando che il resto della squadra le stava mangiando, chiese il motivo di questa imposizione. Rambone, senza tanti giri di parole, gli rispose ‘Perché lo dico io!’. Altrettanto diretta la risposta di Spagnolo ‘Tu al panettone non ci arrivi’. E così fu. Massimino mandò via Rambone e, per stemperare l’ambiente, arrivò un tecnico dal temperamento assai diverso: Egizio Rubino, l’acqua santa. Massimino non conosceva mezze misure, alternava il fuoco all’acqua e viceversa. Quella stagione si concluse con la vittoria del campionato a Torre del Greco e con una serie di feste stratosferiche. Massimino era felicissimo: si sentiva abbracciato dalla città e anche dai giornalisti”.

Angelo Massimino e Gennaro Rambone 



Le promesse irrealizzabili, il suo grande limite
“In preda all’entusiasmo si lasciò andare ai soliti proclami, promettendo l’immediato salto in Serie A. Così non fu: nella stagione 1975-76 la squadra non fece un campionato di vertice ma si salvò a fatica. Nell’estate successiva Massimino, pur di conquistare il paradiso perduto, si giocò il tutto per tutto: richiamò in panchina Carmelo Di Bella e prese giocatori ormai sul viale del tramonto come Gaetano Troja. La stagione si rivelò un fallimento e il Catania scivolò nuovamente in C. Nonostante le feroci contestazioni Massimino non si perse d’animo, chiamò Carlo Matteucci in panchina e costruì una squadra discreta. Le cose non andarono benissimo e, a stagione in corso, richiamò Guido Mazzetti. Con il tecnico originario di Bologna si arrivò allo spareggio promozione di Catanzaro contro la Nocerina. Il Catania perse e per Massimino, convinto che quella squadra potesse tornare in B, l’illusione si trasformò in una cocente delusione: una costante. Ma lui non mollò e ripartì più agguerrito di prima. Nell’estate del 1978 decise di puntare su Adelmo Capelli, trasferendo tutta la sua rabbia in questa nuova squadra. Ritornò Ciceri, la squadra disputò una buona stagione, ma crollò nel finale in quel di Pisa”.

1981-82: Massimino, Russo e Cantarutti insieme ai tifosi 



1979-80: la svolta
“Nell’estate del 1979 decise di ripartire nuovamente da Rambone. La squadra diede subito segnali positivi: arrivarono Sorrentino, Borghi e Piga, mentre Barlassina divenne il perno del gruppo. A turbare l’atmosfera ci pensò ancora Rambone, in occasione del match interno col Montevarchi: il Catania quella volta giocò male, ma vinse con un bel colpo di testa di Borghi; tuttavia, il tecnico napoletano fece il gesto dell’ombrello ai tifosi in tribuna A che lo contestavano; quest’ennesima sceneggiata fu il prologo di un litigio con la stampa e con tutta la città, a seguito del quale andò via. Al suo posto arrivò Lino De Petrillo che con la sua pacatezza riuscì a portare in B una squadra che camminava quasi da sola. In estate il ‘solito’ Massimino, spinto sempre dalla solita impulsività, promise l’immediato salto in Serie A. Dopo appena tre giornate, nonostante De Petrillo avesse dalla sua parte la tifoseria, lo mandò via anche in considerazione del fatto che sul tecnico campano pendeva una squalifica per via di un precedente doppio tesseramento, e decise di richiamare Mazzetti, l’unico di cui si fidava veramente: ne venne fuori una stagione anonima che si concluse a metà classifica. Il 1981-82 fu un campionato dai due volti: andata supersonica, ritorno da dimenticare. Il Catania chiuse al nono posto, Mazzetti fu costretto a lasciare per sopraggiunti limiti di età e Massimino decise di puntare su un altro tecnico napoletano: Gianni Di Marzio.”

Maltese, Mazzetti e Massimino in panchina... 



Prosegui con la seconda parte

Gli aneddoti sul lato umano del Cavaliere