Se la matricola ha un senso, questo non è più il "vero" derby

 

Riflessione sui diversi modi di intendere il concetto di matricola e sulla permanenza della rivalità col "nuovo" Palermo

Inutile nasconderlo. La partita che si disputerà lunedì 9 novembre alle ore 21.00 al “Renzo Barbera” è la più attesa della stagione per entrambe le tifoserie coinvolte. Un’attesa, di per sé normale considerata l’atavica rivalità, che è ulteriormente accentuata dal fatto che Palermo e Catania non si incontrano da ben 7 anni. Dal primo derby post-’46, disputato il 22 gennaio 1956 al vecchio Cibali, mai le compagini isolane avevano dovuto attendere così a lungo per sfidarsi nuovamente: prima del settennio 2013-2020, il periodo di “astinenza” più lungo era stato il quinquennio 1993-1998, indotto peraltro dall’abuso di potere perpetrato dalla Figc nei confronti del Catania.

Eppure c’è qualcosa che non torna, legato a “come” le due società sono arrivate a questo appuntamento, che possiamo definire storico. Da un lato, il Palermo si presenta in una nuova veste, con una società nata l’anno scorso, sulle ceneri della fallita e radiata U.S. Città di Palermo 1987. Dall’altro, il Catania è reduce da un clamoroso salvataggio societario, col cambio di proprietà targato S.I.G.I. che in estate ha scongiurato la morte della storica matricola 11700, che sembrava ad un passo. Un avvenimento, questo, che ha aggiunto ulteriore epica alla parabola già di per sé mitologica, per la tifoseria rossazzurra, della società nata nel 1946 ed ininterrottamente presente da allora, unica in Sicilia e tra le poche in Italia a non aver mai subito l’onta del fallimento.

E qui casca l’asino. Perché questo, dal 1993 in avanti, è il marchio di fabbrica dei sostenitori etnei, rivendicato a tutto spiano, quasi a segnare una sorta di superiorità morale e materiale nei confronti delle piazze che non hanno goduto del medesimo privilegio. Molti tifosi, addirittura, si erano dichiarati pronti ad appendere le sciarpe al chiodo in caso di morte del Catania '46 e non seguire l'eventuale nuova società. E allora, se così è, perché alla matricola viene dato peso solo in casa propria, mentre le avversarie vengono riconosciute come tali bypassando questo dettaglio? Perché attribuire cotanta importanza ad una sfida contro una società “non originale”?

Qualcuno potrebbe obiettare che, in verità, il Palermo era già da considerare tale nel 1987, dopo l’ennesima rifondazione. Ma in quel periodo storico il Catania – ed i suoi tifosi – non erano ancora passati sotto il treno della tentata radiazione del 1993 e alla matricola non veniva attribuito particolare valore nell’ambito dei rapporti e sfottò con le tifoserie rivali. Anche perché il dramma dei fallimenti delle società calcistiche era ancora piuttosto isolato e sarebbe deflagrato negli anni ’90. L’epica della matricola, alle falde dell'Etna, sarebbe nata soltanto dopo i fatti del ’93 e in quel momento il Palermo, seppur rifondato, rappresentava una rivale, LA rivale, accreditata come tale negli anni precedenti.

Adesso, invece, la situazione è diversa ed assistiamo ad un'apparente contraddizione in termini: da un lato, si celebra e rivendica la matricola; dall'altro, si carica di significato e aspettative una partita contro una squadra che, a livello societario, non è più quella protagonista delle battaglie sportive vissute fino al 2013. Evidentemente, il calcio sfugge alle logiche della ragione ed incidono altri fattori quali il campanilismo e la storica rivalità "territoriale". Ciò non toglie che la contraddizione resta e forse sarebbe meglio scioglierla con una scelta di campo definitiva: la matricola ha senso (e quindi il derby perde di valore) o vale di più la rivalità col Palermo?