Cosi di Catania (Calcio): 13 agosto 1992, il ritorno do ziu Angilu

In piedi da sinistra: Marcuz, Bertolone, Vanzetto, Pittana, Dondoni, Tontini. Accosciati: Di Bin, Grossi, Palmisano, Cipriani, il presidente Massimino, Pelosi

In piedi da sinistra: Marcuz, Bertolone, Vanzetto, Pittana, Dondoni, Tontini. Accosciati: Di Bin, Grossi, Palmisano, Cipriani, il presidente Massimino, Pelosi 

Nuovo appuntamento con i 'cosi catanisi' di Alessandro Russo

Buongiorno, buongiorno.
C’eravamo lasciati settimana scorsa con un balzo all’incontrario nel tempo di trent’anni e passa per rivivere insieme la vittoria per due reti a uno in C1 sul Cagliari datata primo novembre millenovecentottantasette. Nella tribuna d’onore del Cibali, si svolgeva simultaneamente una stuzzicante festicciola tra il neo presidente Attaguile e l’imbellettata corte dei miracoli. Epperò, da quel momento drasticamente le tenebre calarono sul Club Calcio Catania e sulla sua gloriosa storia. Nulla più, invero, ebbe da solennizzare quella cordata imprenditoriale coi fiocchi che una città intera e tutta “La Sicilia” avevano collocato nella stanza dei bottoni rossazzurra al posto del recalcitrante Angelo Massimino.

Angelo Massimino e Pippo Baudo, giro di campo al "Cibali" 



Non ci volle molto per comprendere quanto male in arnese fosse l’appiccicaticcia accozzaglia della nuova società rossa e azzurra. Nel giro d’una quindicina di giorni venne silurato il tecnico Osvaldo Jaconi, sostituito dal signor Pietro Santin, anch’egli rimpiazzato poi da mister Bruno Pace. Il tanto atteso poker di rinforzi e cioè Rossi, Borghi, Del Rosso e Tesser, poco o nulla di buono combinò. Squadra e società erano senza capo né coda e fu solo un miracolo se nel giugno dell’ottantotto non precipitammo in C2.
Non cambiarono le cose nelle stagioni calcistiche successive, ma intanto ci si gravava di debiti per pagare ognuno dei nuovi acquisti che regolarmente si rivelava poi un flop. Per vestire il rossazzurro tra il millenovecentottantotto e il millenvocentonovantadue, in primis bisognava essere un calciatore a fine carriera, ma la più importante tra le “conditio sine qua non“ rimaneva che il Club Calcio Catania per ogni tesseramento dovesse sborsar soldoni. La gestione finanziaria fu dissennata e impresto il passivo divenne di sedici miliardi di vecchie lire. A svernar sotto l’Etna venne gente del calibro di D’Ottavio, Nieri, Raise, Della Scala, Salvadori e Schio, ma così facendo si prosciugarono le traballanti casse societarie.
Se n’era già scappato l’amministratore delegato Franco Proto e nella cumacca societaria erano penetrati Giovanni Carabellò e Corrado Grasso, poi Cosimo Napoli e in ultimo Salvatore Massimino accompagnato da suo nipote Alfio Luciano. In panchina dopo Bruno Pace s’era seduto Melo Russo e quindi Sormani e poi Caramanno e infine Vannini e poi di nuovo Caramanno.
Nell’aprile millenovecentonovantadue del “grande Catania” promesso non c’è traccia alcuna, anzi lo sfascio è totale e la liquidazione alle porte. Ospite d’una trasmissione sportiva a Teletna, si stringe nelle spalle il vituperato ex-presidente Angelo Massimino. «Nel Catania calcio è come se mancasse il padre. Intanto giocatori e dipendenti non trovano serenità, non hanno certezze, non riscuotono stipendio, non possono andare avanti. Io al nord ho i miei buoni amici e in tutta Italia mi chiamano ancora presidente. Con me il secondo o il terzo posto è assicurato, ma dopo che mi hanno negato l’ingresso il mio entusiasmo è notevolmente diminuito. La mia proposta è: invertiamo le parti. Io compro il Catania un’altra volta ma poi gli onorevoli mi vorranno veramente ?»

Un sorridente Massimino insieme ai friulani Manicone e Nappi 



Giunge il momento di prender in mano La Sicilia del primo giugno novantadue e soffermarsi su un articolo a firma di Michele Tosto . «È una lotta contro il tempo che gli uomini di buona volontà e di tasca piena devono condurre per salvare il Catania dal fallimento, dalla morte vera e propria. C’è il rischio che si perda il calcio professionistico, perché il presidente federale Matarrese potrebbe non lasciare il titolo sportivo alla città che il Cielo ce la mandi buona. Ma soprattutto c’è un uomo che non può fare a meno del calcio e s’è dichiarato disposto a salvar capra e cavoli, dicendosi pronto a risolvere i pesanti problemi economici che hanno portato al funerale della società, Angelo Massimino, cinque anni fa capotimoniere della barca rossazzurra. Da tempo al varco in attesa di una rentrée che sa di rivalsa personale, ha chiesto agli ex-soci di rinunciare alle anticipazioni personali.»
«Difficilissimo ottenere risultati qui da noi –balbetta Attaguile- Occorrono impegni gravosi e passione. Adoperiamoci tutti insieme affinché ritorni Angelo Massimino, l’unico capace di rischiare nome e portafogli per diciannove anni filati. La programmazione va bene soltanto se si centra la porta. Questi cinque anni sono serviti a capire che nessuno vuole rischiare nome e portafogli, tranne Massimino.»

«Massiminino alè, - si ricomincia a cantare al Cibali- Massimino alè, Massimino Massimino, Massimino alè ! Massiminino alè, Massimino alè, Massimino Massimino, Massimino alè !»

Con sconcertante disinvoltura la città tutta si scorda dell’allontanamento di cinque anni prima e rivuole u ziu Angilu all’ovile. Ci son svariate richieste di fallimento e atleti che battono i pugni sul tavolo per la messa in mora (Dondoni, Cipriani, Pelosi e Spigarelli). Nonostante il passivo somigli a una condanna, è carico di entusiasmo e riprende in mano il timone del vascello. «Questa sera, - giura Massimino con la sciarpa del Catania al collo - provo le stesse emozioni vissute agli spareggi dell’Olimpico. Quando una creatura la curi per vent’anni non puoi abbandonarla nel momento in cui ha più bisogno di te. I quattordici miliardi di debiti non mi fanno paura ma accetto di salvare la squadra se i tifosi verranno allo stadio per tifare e non per causare incidenti. In ritiro andremo in Argentina se l’Indipendente o il Boca Juniors ci ospiteranno. Diversamente saremo a Bibbiena.»
Epperò, le cose gli appaiono un pizzico diverse già alla vigilia del vernissage del tredici agosto al Cibali con l’Udinese, squadra che milita in A. «In questa città -parola di Angelo Massimino- ognuno tira acqua al suo mulino. Dove sono i professionisti pronti a starmi vicino se avessi salvato la società dal fallimento? Sul conto corrente finora sono stati versati appena venti milioni per gli abbonamenti. Mi auguro che lo stadio sia stracolmo per l’amichevole in notturna con l’Udinese ma forse aveva ragione mio fratello Salvatore a dire che è impossibile far calcio qui. Mai vista una società con venticinque dipendenti e amministrata così allegramente. Nella sede di corso Italia c’erano dodici telefoni; ma stiamo scherzando? E poi in un clima di fallimento e di sfascio totale si prolunga il contratto a un direttore generale e non ci si preoccupa di spedire due raccomandate al Chievo e al giocatore per non perdere Nicoli a parametro zero? Possibile che non si conoscano queste norme elementari nel mondo del calcio ?»


La cronaca de "La Sicilia" 




13 agosto 1992 CATANIA-UDINESE 2-1
Gara amichevole

Catania: Tontini, Di Stefano, Di Bin (54’ Bertolone), Palmisano, Grossi, Dondoni, Pittana (52’ La Torre), Vanzetto, Cipriani (82’ Russo), Susi, Pelosi (89’ Cacciola). All. Bianchetti.
Udinese: Giuliani, Pellegrini (46’ Vanoli),Orlando, Sensini, Calori, Rossitto, Mattei (46’ Mandorlini), Manicone (60’Marcuz), Balbo, Dell’Anno, Nappi (56’ Branca). All. Fedele.

Arbitro Longo di Paola.

Gol: 28’ Vanzetto, 45’Palmisano, 63’ Balbo.