Come siamo andati in Serie A: ottavo e nono capitolo

Foto: Archivio Alessandro Russo

Foto: Archivio Alessandro Russo 

Quinto appuntamento con le memorie rossazzurre di Mario Corti, giocatore del Catania dal 1957 al 1964

San Gregorio di Catania, ufficio postale, poco fa.
Accanto a me, in fila per pagar bollette, c’è uno sulla settantina vestito in maniera casual.
«Comu aia fari iu cu vossia?» attacca bottone il tizio.
«Ha bisogno di qualcosa da me?»- replico con una domanda.
«Binirittu Iddiu, -ribatte quello veloce come un Concorde- iu no capisciu, ma appiddaveru iu a lei no capisciu. Mi liggii tutti pari sti puntati ni cacciocataniapuntocom. “A valigia ri Biagini”, “U nevvosismo ri Tarantu”, “A pancera di Bonci”. Lei sta facennu un grossu travagghiu a mentiri stu libru ca scrissi sessant’anni fa Mario Corti tuttu paru paru su intennet. Mi sta piacennu appiddaveru e ci ricu macari grazie…»
«No, guardi– mi schernisco – lei non deve ringraziarmi…»
«Lei m’ha fari parrari a mia, – m’interrrompe lo strano tipo – lei ci l’ha finiri di muntuari a storia de treni quannu c’è u Catania nto mezzu. Binirittu Iddiu, s’arruoddassi na cosa, signò Russo: u nostru presidenti iè Puvvirenti e n’zoccu fici non ci fa nenti. Appena appoi semu nda B, ca viremu su u primu a battirici i manu o nostru presidenti nda Piazza Europa non è proprio u signò Russo. Ascutassi a mia, na puntata ca trasi parrassi sulu di “Comu iemu nda A” e bonu chiui.»

 



CAPITOLO OTTO: IL PESANTISSIMO BAGAGLIO DI BUZZIN
Un altro episodio divertente si verificò a Novara, alla partenza del treno che ci avrebbe riportato a Catania una delle tre volte che la partita venne rinviata e non si giocò. Aspettavamo il treno che doveva arrivare da Torino ed eravamo tutti scaglionati lungo il marciapiede della stazione che stava subendo dei lavori di riparazione ed era perciò ingombra di materiale da costruzione. Qualcuno si accorse che Buzzin era lontano dall'angolo in cui erano riposti tutti i nostri bagagli e pensò bene di “tirargli un bidone”, di fargli uno scherzo cioè. Infatti, mentre lui se ne stava intento a parlare con degli amici catanesi residenti a Novara ch'erano venuti a salutarci, noi gli aprimmo il suo capace valigione e gli mettemmo dentro tre o quattro lastroni di pesantissimo marmo. Quindi richiudemmo la valigia e rimanemmo ad...aspettare. Arrivato il treno ognuno prese i propri bagagli, così pure Buzzin che faceva una fatica immensa a trascinarsi dietro quella sorta di valigia pesante come un accidenti. Il più buffo era che noi lo guardavamo e ridevamo e lui non riusciva a capire cosa avessimo da ridere a quel modo, proprio noti gli riusciva di capacitarsene. Per farla breve soltanto quando fu montato sul treno e gli toccò spingere in alto con tutte e due le mani la valigia per deporla sulla retina portabagagli si rese conto che qualcosa non funzionava nel suo bagaglio. Per fortuna Bastiano è un ragazzo di spirito e quando s'accorse dello scherzo che gli avevamo combinato ci fece sopra una simpatica risata anche lui e non fece altro che gettare fuori dal finestrino le pesanti lastre di marmo (rischiando così di prendersi persino una multa perché saprete che “Chi getta fuori dal treno oggetti che possano recare danno a persone o cose è punibile con una multa etc, etc..”)

Lo scherzo che Buzzin non gradì invece tanto fu quello fattogli a Lecco. Eravamo in pieno periodo di carnevale e tutti gli spassi che potevamo concederci si riducevano a qualche petardo di quelli che prima di esplodere guizzano fischiando per cinque o dieci metri. Appunto uno di questi, lanciato da Macor, andò malauguratamente a finire la sua breve, rumorosa corsa sulla schiena di Bastiano bruciacchiandogli tutto il suo cappotto blu. Naturalmente l'episodio dispiacque a tutti e principalmente a Macor che si era offerto di risarcire il prezzo del cappotto: finì invece che contri­bruimmo un po' tutti e Buzzin ebbe un soprabito nuovo. Chi in definitiva ci guadagnò in quest'affare fu Stefano, il popolare custode del Cibali, al quale portammo il vecchio cappotto di Buzzin ancora in buone condizioni e di ottima lana, anche se leggermente bruciacchiato sulla schiena.

 



CAPITOLO NONO: GASPARI IL “BARBONE”
Se c'è una cosa che mi dispiace non aver fatto quest’anno è un gol al Torino. Rammento che nella partita d’andata ci provai parecchie volte con tiri da lontano, ma la palla o si perse fuori di poco o divenne preda dello scattante Vieri. Quel giorno mi sentivo stranamente bene, stranamente in forma e non m'importava se il Cibali era stato ridotto ad un pantano da una pioggia traditora caduta ininterrottamente per tutta la nottata del sabato e poi durante la mattinata della domenica. Anche sul fango stavo benissimo, mi riusciva di tenere la posizione, di curare i collegamenti con i miei compagni della prima linea in mezzo ai quali mi sono a più riprese inserito per cercare di scardinare con qualche tiro a sorpresa il mezzo “catenaccio” messo in atto dai granata. Purtroppo, come già vi ho detto, non sono riuscito nell’impresa: sembrava che la palla non volesse saperne d'entrare, che si divertisse a lambire i legni della porta di Vieri e più io mi accanivo peggio era. Alla fine rammento che uscii dal campo stremato e con certi nervi a fior di pelle che soltanto dopo diverse ore dalla fine della partita mi sbollirono.

Nella gara di ritorno a Torino avrei pagato non so cosa per mettere a segno un gol, ma stavolta non potei nemmeno tentare perché l'allenatore Di Bella mi aveva ordinato di stare indietro a fare la guardia a Ferrario ed avevo perciò il mio bravo da fare in difesa per lasciarmi andare alle avventure in attacco. Anche quella del ritorno fu per noi, in un certo senso, una gara sfortunata perché giocammo un ottimo primo tempo, segnammo per primi con Caceffo e sembrava che dovessimo comandare a nostro piacimento la partita. Invece andò a finire che prima di andare al riposo il Torino riuscì in maniera fortunosa a pareggiare; nella ripresa rischiammo persino di perdere e soltanto due o tre grandi parate del bravissimo Gaspari, riuscirono ad evitar il peggio. Quella, comunque, fu lo stesso una gran giornata perché intanto un pareggio in casa del “Toro” rappresentò sempre un ottimo affare e poi perché contemporaneamente apprendemmo che la Triestina le aveva prese a Valdagno dal Marzotto.

A Torino; come già avrete letto, ebbimo tra i pali un grande Gaspari che tirò fuori alcune parate da copertina e che alla fine si meritò giustamente ampi applausi dai tifosi granata. Quel giorno Gaspari aveva rinverdito in tutto le sue più felici tradizioni, compresa cioè quella di giocare con una barba incolta lunga di almeno tre giorni. Dovete sapere; infatti, che all'inizio del campionato e per quasi tutto il girone d’andata Beppe Gaspari al giovedì smetteva di radersi e cominciava lentamente a trasformarsi in uno di quei barboni che vi capita d 'incontrare nelle campagne, o stesi a dormire su una panchina, o sotto l'arcata di un ponte. Per scaramanzia, insomma, il nostro numero uno alla domenica scendeva in campo con una faccia che pareva un foglio di cartavetrata, quasi a volere incutere timore agli attaccanti avversari.

Barba o non barba, quello che io vi posso dire è che in quel periodo ebbimo il miglior Gaspari, un autentico gatto magico che arrivava su tutti i palloni e che disse di no a tiri che sembravano imparabili. Poi per un pezzo Beppe interruppe la tradizione e, per strana coincidenza, cominciò per noi il periodo più critico del nostro campionato. A Torino, comunque, Gaspari si ripresentò col barbone e riuscimmo a pareggiare; a Brescia, invece, era bello e rasato e sapete tutti come andò a finire.
Io non sono superstizioso, o perlomeno non lo sono eccessivamente, ma davanti a certe pratiche dimostrazioni come si fa a rimanere indifferenti? ...