#70CATANIA - Le pagine rossazzurre di Roberto Ricca: prima puntata

Roberto Ricca, un calciatore con la penna...

Roberto Ricca, un calciatore con la penna... 

Primo appuntamento con i racconti catanesi di Roberto Ricca, difensore rossazzurro nel biennio 1996-1998

Ciao Ale, come ti avevo promesso quando ci siamo sentiti per gli auguri di Natale, ho cominciato a mettere per iscritto i ricordi del mio periodo catanese.
Ti invio le prime righe.
Ho forti dubbi e ti chiedo se a tuo parere sia il caso di continuare a rinvangare con la memoria o se sia meglio lasciar perdere.
Un abbraccio, Roby


Ci sono esperienze di vita che lasciano un segno indelebile nella mente e nel cuore di una persona.
Parlo di esperienze talmente forti che cambiano il modo di vedere le cose e pensare, tali da far riflettere su quanto siano stupidi i preconcetti; è anche per questi motivi che ho deciso che nella mia vita esprimerò giudizi ed opinioni solo se certe situazioni le avrò vissute in prima persona. Ho giocato per due stagioni nel Calcio Catania 1946. Due anni intensi che non solo hanno arricchito il mio curriculum di calciatore, ma mi hanno dato tantissimo sotto il profilo umano. E pensare che all’epoca quella di indossare la maglia rossazzurra fu quasi una scelta obbligata. Vi racconto come sono andate le cose.

GIUGNO 1996: Sede del calciomercato.
Sono di fronte al box della Juventus. Sto aspettando che Luciano Moggi mi faccia entrare e mi comunichi la squadra in cui andrò a giocare. Arrivato il mio turno, Big Luciano mi dice più o meno così: «Ricca quest’anno voglio vedere se hai le palle. Andrai a giocare al sud e precisamente a Catania». Lo guardo in faccia, deglutisco e gli rispondo: «No guardi direttore, non ci penso neanche. Io in un posto dimenticato da Dio come quello non ci metto piede». Non faccio in tempo a finire la frase che Moggi esplode: «Chi c…o ti credi di essere Beckenbauer? O vai a Catania o ti faccio smettere». «Io non sono Beckenbauer, -stavo per replicare- ma lei non ci provi nemmeno per scherzo a minacciarmi». I termini da me utilizzati non furono propriamente questi, ma fatta la mia sfuriata, cala un attimo di silenzio.
Ecco penso, adesso mi fa prendere a calci nel sedere e a calcio ci giocherò col subbuteo (non c’era ancora la play-station). Moggi invece mi risponde con molta calma: «Vedi Ricca, non ci sono molte richieste per te. Se voglio ti posso piazzare in qualsiasi squadra, ma andresti solo a fare numero. A Catania, invece, cercano un giocatore con le tue caratteristiche, hanno preso informazioni e sono veramente interessati a te; oltretutto stiamo parlando di una squadra importante, seguitissima dai suoi tifosi, una piazza che ha veramente fame di calcio. E poi tu ci sei mai stato in Sicilia ?».

«No e l’idea di andare a giocare nel profondo sud mi preoccupa non poco».

Lui sorride e conclude: «È un’ opportunità troppo ghiotta per lasciarsela scappare, là ti sentirai giocatore vero e se proprio non ti troverai bene, a novembre, ti riprendo e ti piazzo in un’altra squadra». Alla fine accetto di parlare con i dirigenti del Catania, riservandomi di avere la possibilità di rifiutare il passaggio in rossazzurro. Ho quindi il piacere di fare la conoscenza di Angelo Russo, di Gianfranco Grasso e di mister Angelo Busetta. Angelo Russo rappresenta la proprietà. È il nipote del presidentissimo Angelo Massimino, deceduto nel mese di marzo di quello stesso anno. È un ragazzo dalla faccia pulita, i suoi occhi sono quelli di chi ancora non si è fatto “intaccare dal marciume e dagli intrighi del calcio”. Ma ha anche le idee chiare poiché non si lascia abbindolare da tutti gli affabulatori che ruotano intorno all’universo pallonaro, che ti lusingano da un lato e dall’altro provano a mettertelo in quel posto. Il nostro approccio è stato molto schietto. Mi ha prospettato la volontà della società di mettermi sotto contratto proponendomi un ingaggio più vantaggioso di quanto percepissi fino a quel momento, alloggio e qualche biglietto aereo. Non ha fatto nessun accenno su chi fosse suo nonno, io l’ho saputo in seguito. Questo particolare è secondo me molto significativo: tutti nel mondo del calcio sanno che Angelo Massimino è stato un personaggio quasi leggendario, il cui nome incute rispetto, ma lui non ha voluto bearsi con me di esserne il nipote e tantomeno ha cercato di far valere la sua illustre parentela per spingermi ad accettare il trasferimento; insomma ha giocato le sue carte senza barare e per questo motivo si è subito guadagnato la mia stima. Ho parlato poi con Gianfranco Grasso che all’epoca rivestiva il ruolo di consulente di mercato della società etnea. Persona gentilissima ed educata, Gianfranco mi ha parlato del grandissimo entusiasmo e della voglia di rivincita della piazza. Mi ha parlato del fatto che da qualche anno a Catania, si era insediata un’altra squadra, l’Atletico, che militava in C1 e puntava a divenire l’alter ego del Catania 1946 (quello vero per intenderci), ma che per i veri tifosi esisteva solo un Catania, quello di Massimino. Mi ha detto che la domenica ci sarebbero state migliaia di persone a tifare, che agli allenamenti la squadra era seguita da centinaia di persone e che anche nelle trasferte, lunghe o brevi che fossero, avremmo avuto un numero impressionante di tifosi al seguito. Una parte di me, quella più irrazionale, quella che vive di sensazioni, cominciava ad esaltarsi all’idea di vivere un’esperienza così stimolante. Quella più razionale invece, mi portava a pensare che le parole di Gianfranco fossero solo di convenienza per convincermi ad accettare il trasferimento; «Suvvia,- mi dicevo - non può esistere un posto al mondo che mette al primo posto il calcio e ne fa una ragione di vita e di riscatto sociale».

Infine ho conosciuto mister Angelo Busetta. Uomo di grande personalità, siciliano verace, Busetta aveva due baffoni lunghi, il volto abbronzato, un modo di parlare tutto particolare (un misto di siculo-italiano) e due occhi che scrutandoli bene, ti accorgi che ne ha vissute tante di situazioni, magari non sempre piacevoli, ma nonostante i modi risoluti e l’aria da duro, si percepisce che è un uomo di sani valori. Il mister mi ha spiegato come intendeva giocare, in quale posizione intendeva impiegarmi, e quali erano le qualità non solo tecniche che richiedeva ai suoi giocatori. Siamo entrati subito in sintonia. Nonostante i miei dubbi non si fossero dissolti del tutto, accetto comunque di sposare la causa rossazzurra e firmo per un anno.

Una formazione del Catania 1996-97 



Luglio 1996
Il giorno prima di cominciare il ritiro precampionato a Melia di Scilla, arriva il momento di scoprire la Sicilia. Devo infatti sottopormi alle visite mediche di idoneità e così avrò modo di farmi una prima idea sulla città. Il volo Alitalia Linate-Fontanarossa è il primo della giornata. Nonostante la mia grande paura di volare, tutti i miei pensieri sono rivolti a quello che mi attenderà di lì a poco. L’inizio nella Juventus era stato promettente e, al primo anno di Primavera, nonostante fossi uno dei più giovani della squadra, avevo attirato l’attenzione di mister Maifredi che mi aveva portato in panchina in serie A in Juve-Milan del 5 maggio 1991. Avevo quindi partecipato alla tournee negli Stati Uniti con la prima squadra e la stagione successiva avevo fatto il ritiro precampionato a Vipiteno agli ordini di Trapattoni. A quel punto però la società non sembrò più credere in me.

Fui parcheggiato alla Pro Vercelli in LND, dove subii due infortuni abbastanza fastidiosi (frattura del quinto metatarso prima del piede destro, poi di quello sinistro), poi con l’avvento di Moggi venni dirottato ad Avezzano in C2, dove racimolai 27 presenze e 1 rete, per poi passare l’anno successivo al Baracca Lugo, sempre in C2 con 32 presenze e 1 gol. Ora mi si proponeva la possibilità di andare a Catania, una piazza che aveva fatto la serie A, ma che distava 1500 km da casa mia e che stava disperatamente cercando di uscire dalle sabbia mobili dell’ultima categoria professionistica. Inoltre non conoscevo la Sicilia, se non per i fatti di cronaca nera, di cui parlavano spesso giornali e tv. Comunque conclusi le mie riflessioni, facendo leva sul fatto che io ero lì solo per giocare a calcio e non di certo per innamorarmi di una città. Mai pensiero si rivelò più sbagliato di questo.

Atterrato a Catania mi dirigo verso l’uscita dei passeggeri in transito e noto due signori con un cartello che indica il mio nome. Faccio così la conoscenza di mister Franco Indelicato e di Stefano Merenda. Durante il tragitto dall’aeroporto alla città transitiamo lungo la zona del porto. Lungo la strada (trafficatissima), il mio sguardo è attratto da un muraglione nero, da alcuni carretti che vendono pesce appena pescato, da alcuni chioschi che scoprirò vendono seltz-limone e sale e mandarino e limone, bevande delle quali farò incetta al termine di ogni allenamento, quando dal campo farò la strada per Acitrezza. Transitiamo poi per la zona della stazione, del polo delle Ciminiere e tra me e me penso: «Strano, qua mi sento molto a mio agio, come se fossi a casa». Non è una sensazione facile da spiegare, ma è come quando il tuo animo è sereno e ti senti perfettamente calato nella realtà che ti circonda. A ripensarci adesso credo che ogni dubbio che mi aveva assillato prima di scendere in Sicilia, si sia dissolto dopo nemmeno un’ora che avevo messo piede in questa meravigliosa terra.

Le visite mediche me le fa il dottor Filippo Conti, uno dei generi del presidentissimo Massimino (la sua figura aleggerà sempre nell’aria). Persona squisita e simpaticissima, con una grande passione per gli orologi, il dottor Conti mi “dichiara” abile e arruolato nella truppa rossazzurra. Prima di essere accompagnato all’hotel I Malavoglia di Acitrezza dove pernotterò prima di partire per il ritiro precampionato, ho il tempo di fare finalmente colazione.

La ragazza che viene al tavolino del bar per prendere l’ordinazione, rafforza in me il convincimento che alle falde dell’Etna mi troverò proprio bene. Con un sorriso radioso sulle labbra mi domanda se voglio granita e brioche. Non capisco se vuole essere spiritosa o prendermi in giro; la guardo dritto negli occhi e con fare scocciato le rispondo: «Cappuccino e cornetto!». La carusa se ne va perplessa e mi porta ciò che ho ordinato. Ho capito in seguito, frequentando l’Eden bar di Acitrezza al mattino di buon’ora, che per un vero catanese la colazione al bar è costituita da granita e brioche, che non è il classico cornetto, ma una specie di panino rotondo e dolce .
Ho apprezzato granite di tutti i gusti, ma per me la prima colazione al bar è sempre stata composta da cappuccino e cornetto, tanto da suscitare l’ilarità di Michele, cameriere dell’Eden che, quando mi vedeva arrivare al mattino, sorridendo diceva: «È arrivato il nordista, cappuccino e brioche».

CONTINUA...

ROBERTO RICCA
Nato a Novara il 24 gennaio 1973
Difensore rossazzurro nelle stagioni 1996-97 e 1997-98 in Serie C2, per un totale di 62 presenze e 4 reti.